venerdì 5 dicembre 2014

Prosopagnosia portami via


Sin dalla mia infanzia, uno dei tratti fondamentali della mia persona è sempre stato lo stesso: la persistenza di una memoria ferrea per i dettagli. A tale curiosa dote, se proprio così vogliamo chiamarla, si è tuttavia da sempre accompagnata un’inconciliabile gemella di ignoto ascendente, vale a dire una memoria a breve termine per le cose più rilevanti o le ovvietà, di norma dovuta a mera distrazione. Se da un lato ricordo perfettamente il cardigan rosso con due strisce bianche attorno ai bottoni, che indossavo il mio primo giorno di scuola sopra al grembiule, dall’altro non ho la minima idea di dove si sia nascosto il burrocacao che ho adoperato la bellezza di cinque minuti fa (perché sono sempre gli oggetti a celarsi da noi, si intende). Se da un canto ricordo a memoria i primi 24 versi del primo canto dell’Inferno dantesco, studiati in prima media, e la ridicola filastrocca americana che mi insegnò mia cugina quando avevo sette anni, dall’altro non ricordo minimamente la data di inizio del secondo conflitto mondiale, iniettatami continuamente negli anni scolastici e quotidianamente in quelli universitari, né tantomeno la raccomandazione telefonica di mia madre di pochi secondi fa. Inutile precisare, alla luce di ciò, il mio consueto abuso della funzione “promemoria” del cellulare. God bless technology, non lo dirò mai abbastanza.
Alla discutibile utilità del rammentare senza riserve la scritta in strass stampata sulla maglietta che sfoggiavi la sera di capodanno nel 2002 ma non ciò che indossavi ieri, si accompagna un ulteriore mirabolante elemento: la radicata difficoltà di registrare un volto nuovo.
Avendo in questi anni constatato, con copioso conforto, come il suddetto sia un problema particolarmente diffuso, ho voluto qui riportare la mia esperienza affinchè funga da exemplum a coloro che patiscono le medesime pene ivi esplicate, ma soprattutto perché in futuro, cari lettori smemorati, possiate sentirvi meno soli nelle vostre figuras minchiae.
Partiamo dal principio; dopo la stretta di mano, il mio cervello attiva automaticamente il pulsante reset, senza tuttavia ritrovare i dati salvati, una volta riavviato il sistema. A meno che non si tratti di un nome straniero o di facile portata mnemonica, la bella Monica, dopo pochi istanti, per me potrebbe tranquillamente chiamarsi Asdrubale.
Parimenti, salvo che abbia già visto più volte un determinato individuo o che abbia qualche peculiare caratteristica in grado di ancorarsi alla mia mente (e non parlo necessariamente di una chioma verde pisello o di un teschio rockabilly tatuato sullo zigomo), ho de sempre ingenti difficoltà nel memorizzare una novella fisionomia. Nonostante il beato facebook abbia in parte attenuato le figur’emmerd facilmente scaturibili dal problema in esame, talune circostanze permangono tuttora inesorabili. Considerando oltretutto che, per qualche ragione, il mio è uno di quei volti che pare rimanga facilmente impresso a buona parte dei miei occasionali interlocutori, vi lascio immaginare come i disguidi in tale ambito tendano, nel mio caso, a moltiplicarsi. Se a ciò aggiungete anche una marcata incapacità di mentire/assumere facce da culo quando necessario, potrete vagamente figurarvi lo spessore dell’imbarazzo sotteso alle situazioni di cui sovente la sottoscritta si ritrova protagonista. Lo stesso non si può certamente dire di mio padre, gene responsabile del mio connotato anzidetto, che una volta ho visto salutare un cordiale messere venutogli incontro con reiterati “carissimo! Tutto bene? La famiglia come sta?”, abbandonandosi a dieci abbondanti minuti di animata conversazione, per poi voltarsi verso di me e domandare sottovoce, una volta effettuati i congedi: “Shirin, ma…chi cazzo era?”


Tutti noi, almeno una volta, siamo stati erroneamente etichettati come maleducati per non aver rivolto il saluto a soggetti che ignoravamo totalmente di aver conosciuto in qualche precedente occasione, o per non aver risposto a quello a noi offerto da questi ultimi, ignari del fatto di esserne i destinatari. Analogamente siamo stati talvolta richiamati da esplicite apostrofi, cui normalmente, dopo il saluto di risposta, seguito da un’inequivocabile espressione perplessa, il nostro conoscente sconosciuto ci ha dischiuso la propria identità. Del tipo: 
- Sai sono Carlo, l’amico di Marco, ci siamo conosciuti tre mesi fa al compleanno di Antonio, ti ricordi?
Al che tenti in ogni modo di reprimere un istintivo: “Figlio mio, non ricordo neanche che ho mangiato ieri a cena, figurati chi ha attaccato bottone novanta giorni fa”, limitandoti ad un’osservazione sulle tue scarse virtù fisionomiste.
Fino a pochi anni orsono credevo di essere io quella messa male, ma debbo ringraziare il Cielo per avermi concesso di constatare come ci sia sempre, sempre qualcheduno messo peggio.
L’occasione si profilò nel lontano 2007, quando un certo kattivissimo@qualcosa.it (sì esatto, KATTIVISSIMO) mi aggiunse a buffo su messenger, invitandomi, dopo pochi scambi di battute, a scoprire dal vivo, presso la sua dimora, le ragioni del suo nick. Dopo averlo a mia volta invitato a sfogare la propria ferocia in solitudine, ci accomiatammo, ahimè non definitivamente, per poi ritrovarci qualche giorno dopo, in una nuova conversazione virtuale da lui intrapresa, con un copione piuttosto simile al precedente. Dopo avergli fatto notare che quello non fosse disgraziatamente il nostro primo colloquio, il nostro Rocco wannabe di colpo si allarmò, scambiandomi per una fanciulla con cui si era sollazzato qualche sera prima.
- Vorresti dire che io e te…io e te abbiamo…l’altra sera? Ti chiedo scusa…
- No guarda, non…
- Ti chiedo infinitamente scusa, proprio non ricordo.
- Ma guarda che…
- Non è una cosa personale, magari è stato bellissimo, è che non riesco a ricordarmi di tutte. Ricordo un bel momento, un bel corpo, ma le persone con cui l’ho passato proprio no…Poi sai, di notte è ancora più difficile...
- Si ma..
- Se vuoi però posso farmi perdonare. Sono molto bravo in questo…puoi usare manette, frusta, tutto quello che desideri…

A pensarci oggi, avrei dovuto proporre una ghigliottina pubica. Sarà per la prossima volta.

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