mercoledì 12 novembre 2014

La dignità delle senzatette



Signori, ma soprattutto signore, questo è l’intervento che mi tengo dentro da una vita, ed è dedicato a tutte voi nobili fanciulle che almeno una volta nella vostra, sentendo un uomo affermare che se avesse avuto le tette, sarebbe stato tutto il giorno a toccarsele, avete spontaneamente pensato “anch’io”.
Perchè senzatette si nasce, in casi come i nostri si vive, e normalmente si prende congedo dall’universo; ciò che desidero fare, in queste righe, è condividere con le medesime lo stile di vita che da tempo ci accomuna nella fase intermedia e mostrare al mondo come noi, fedeli membre dell’OIP (Organizzazione Internazionale del Piattume) esplichiamo lo stesso.
Partiamo da una considerazione basilare: la “senzatettitudine” non è un fenomeno sociale, bensì una condizione umana, e il fatto che l’epiteto di coloro che condividono tale stato esistenziale ricordi semanticamente il termine “senzatetto” non deve affatto suggerirne una natura mesta e insoddisfatta, anzi! Credo che tale sia piuttosto la condicio dei senzapalle, poichè mentre per passare da una prima a una terza bastano due protesi, per colmare vuoti di carattere non c’è Roy De Vita che tenga. 
Ma torniamo a noi. Partiamo dal principio: gli anni infantili.
Prima di raggiungere le due cifre, le mie più grandi aspirazioni nella vita erano tre: diventare Batman, sposare Michael Jackson e avere le tette. Ogniqualvolta mi accingevo a disegnare un soggetto di sesso femminile, che usualmente portava un volto molto simile al mio, partivo sempre dalla scollatura, che mostrava puntualmente una quarta di reggiseno. Inutile narrarvi come le proporzioni dei miei autoritratti siano sensibilmente mutate, dalla mia adolescenza in su.
Non v’era volta in cui, sfogliando cataloghi di intimo o guardando le vampire di Dracula morto e contento, non pensassi “vedrai, un giorno anche noi avremo quelle bocce”. Beato ottimismo puerile. Ricordo che una sera al ristorante socializzai con una prostituta, la quale sedeva sola su un tavolo per due, in attesa di un gentiluomo che le offrisse la cena e la portasse con sè. Indossava una pelliccia ecologica nera, una maglietta leopardata che poco lasciava all’immaginazione, ed una vistosa collana in strass. Da brava amante della sobrietà quale sono, il trio luccicchio-leopardo-rossetto rosso era una calamita irrefrenabile per mini-me, e non esitai un secondo al suo affettuoso invito ad avvicinarmi. Quando le dissi che mi piaceva il suo profumo, me ne donò qualche spruzzo, e parimenti, quando notò la meraviglia con cui fissavo la sua scollatura perfetta, gemella a quelle delle donnine dalla discutibile pudicizia che tanto amavo disegnare, mi invitò a toccarla. Rammento di averle anche detto, in preda alla contemplazione, che da grande sarei voluta diventare proprio come lei, la quale scoppiò a ridere e, carezzandomi il capo, disse “spero proprio di no, amore”. Mi ci volle qualche anno per capire le ragioni dell’ultima osservazione.


Veniamo allo step successivo: l’adolescenza, ovvero la fase del disincanto.
Questi sono gli anni in cui la trasognata speme si dissipa progressivamente dinanzi all’arido vero. Gli anni in cui la proverbiale discrezione di molte compagne le spinge continuamente a domandarti negli spogliatoi “oh, ma a te è venuto il ciclo??”, non essendovi, al di là dell’altezza e del posteriore, alcuna evidenza sotto la maglietta a testimoniarlo. Gli anni in cui i parenti giunti in visita dall’estero raccolgono i pezzi del proprio cuore in frantumi, constatata verbalmente l’evidenza che nelle dozzine di taglie M acquistate e portateti in dono ci sguazzeresti. “Ma Shirin joon (termine di cortesia o affettivo, letteralmente “caro/a”, che usualmente in farsi accompagna un nome proprio), credevo che con la pubertà le avresti riempite! Non pensavo che non ti sarebbero cresciute le tettine”. Ti voglio bene anch’io, zia.
Ogni teenager senzatette è stata, almeno una volta, privilegiata destinataria dei preziosi suggerimenti degli improvvisati dottor Oz della situazione, custodi di una profonda verità di vita, esclusivamente dispensata a te, fortunata fanciulla: “ti svelo un segreto, se mangi un po’ di più e metti su qualche chilo, questi si distribuiranno anche sul seno! Provaci!!” , ignorando l’esistenza di un particolare fenomeno chiamato metabolismo veloce, di cui godono persone come la sottoscritta, che non igrasserebbero sensibilmente neppure ingerendo un frullato di adipe suino. Che mondo sarebbe senza di voi, sublimi detentori dell’episteme?

Giungiamo ora alla fase adulta (nel mio caso gioventù adulta), l’era della consapevolezza.
E’ qui che di norma la popolazione senzatette si scinde in due fazioni: coloro che optano per il bisturi e coloro che, invece, decidono di farsi amiche le proprie minute compagne di vita. La g.a.s. (giovane adulta senzatette) che opta per la seconda posizione è una donna fiera e indipendente, che non scambierebbe le proprie susine neanche con due meloni aggratis, che conosce e ama il proprio corpo e che ironizza sullo stesso, senza permettere a nessuno di sminuirlo. Ricordo che una volta un ragazzo, spesso scosso dall’impellenza di lanciare la“battuta svolta” del momento, si accostò a me con un sorriso da orecchio a orecchio gridando, affinchè tutti sentissero: “Oh Shi, perchè te metti il reggiseno, se poi non c’hai niente da mettece dentro? Ahahahahah”
-“Per la stessa ragione per cui tu indossi le mutande”, risposi sorridendo io. La folla circostante la prese con una certa ilarità, lui non particolarmente.
Anche il mondo dello showbiz pullula di fulgidi esempi di g.a.s.; la divina Natalie Portman, l’algida Diane Kruger, la splendida Sienna Miller, l’adorabile Emma Watson, solo per citarne alcune, ma soprattutto la sublime Keira Knightley, prova tangibile del fatto che si può essere all’apice della figaggine non solo senza tette, ma persino senza culo.

Al di là di tutto ciò, vi è comunque un ricorrente fattore con cui le giovani senzatette debbono sovente misurare la propria pazienza: i negozi di intimo. Sì, poichè anche chi non ha il seno ha qualcosa per reggerne i surrogati, anzi, spesso è proprio questa categoria a svaligiare gli Yamamay o Intimissimi della città, per una semplice ragione. Vi è un’ampia percentuale di senzatette che è solita applicare, consapevolmente o meno, quello che amo chiamare “contrappasso self-made”, filosofia che poggia su un semplice, saldo postulato: se ho poco seno, voglio tanti reggiseni. Ma a differenza di ciò che il 90% delle commesse e degli stilisti crede (tu per primo, fottutissimo signor Tezenis), non tutte le retromarce desiderano ostentare tre taglie in più, un po’ perchè c’è chi trova poco corretto nei confronti dei giovinuomini presentarsi come Pamela Anderson, per poi rivelarsi Kate Moss una volta giunti al dunque, un po’ poichè le stesse preferiscono mostrare una tavola da surf autentica, piuttosto che due palloni da beach volley in gommapiuma. 
Dunque, dopo aver inutilmente passato in rassegna le copiose prime antiproiettile che popolano le sezioni dell’edificio ed aver finalmente adocchiato l’unico e solitario esemplare onesto, la senzatette si reca presso la cassa, ben consapevole della proposta che la attenderà a breve: “lo vuoi un paio di pesciolini? Sono solo 3 euro in più, te li metto nella busta?”
- No guardi, può ficcarseli nel...contenitore. Grazie comunque.
- Sicura? Guarda che sono stati creati apposta per chi ha poco seno.

Il cervello invece è stato creato apposta per riflettere prima di aprir bocca; quello sì che andrebbe messo in vendita, da qualche parte.

- Lo so, ma va bene così, grazie.
- Sicura sicura? Guarda che può farti due seni così!

Nel frattempo tu mi hai fatto due palle così, ergo prima che cadano a terra e ti mandi in loro compagnia, ti consiglio di battere quel dannato scontrino.

- La ringrazio signora, ma va bene così.
- Ma...
- Ne ho già due a casa.

Lo spessore di queste minchiate, che spesso l’esasperazione ci conduce a proferire, è comunque inferiore rispetto a quello dei pesciolini che le gentili commesse sono sempre pronte a propinarci.

- Aaaah e dillo prima! Guarda, ti lascio anche un buono per uno sconto del 10% sulle imbottiture per costumi, solo che noi le abbiamo finite. Prova ad andare all’altra sede.

La mia risposta è di norma un “grazie, arrivederci”, ma spero che un giorno una mia fedele sorella, dalla pazienza assai più ridotta della mia, vi indichi espressamente dove dovreste provare ad andare voi.