domenica 1 marzo 2015

50 shades of gay


Buondì, cari lettori!

Dopo un periodo piuttosto intenso, finalmente trovo il tempo di impugnare nuovamente la tastiera e di arricchire gli scaffali di questo minuto spazio virtuale. Ho covato a lungo l’intervento di oggi, un po’ per questioni temporali, un po’ al fine di giungere a disporre di tutti gli strumenti necessari alla sua corretta stesura, essendo io dell’opinione che occorre sempre conoscere a fondo ciò di cui ci si accinge a favellare, anche e soprattutto quando si tratta di capienti minchiate.
Credo che la radice dell’ultimo termine, volontariamente impiegato, sia l’idoneo incipit all’argomento di cui ci occuperemo oggi, vale a dire il “fenomeno”  letterario, ahimè ora anche cinematografico, che ormai da qualche anno scuote buona parte del web, nonchè le fantasie di una larga percentuale di esponenti del gentil sesso: 50 sfumature di grigio.
Chiedo anticipatamente venia per le digressioni e i flussi di coscienza a cui spontaneamente mi abbandonerò, talvolta. Ho così tanto da dire a riguardo, che fatico a stabilire un ordine espositivo, lo giuro.
Vediamo di partire dal principio: l’opera nasce dall’impietosa penna di Erika Leonard, alias E.L.James, originariamente come una serie di fan fiction di Twilight, che dunque vedeva come protagonisti i personaggi di tale narrazione, ovvero Edward Cullen e Bella Swan. In breve tempo, sono passata dal domandarmi cosa spingesse una donna di mezza età a spararsi l’intera saga di Twilight (a tal proposito, non trovate curioso come il termine saga ricordi inesorabilmente il termine sega? “Coincidenze? Io non credo”), a carezzare l’ipotesi della promozione di uno studio sociologico su cosa porti esattamente costoro a scrivervi persino fan fiction, come se l’opus magnum della signora Meyer non fosse già di per sè sufficiente. 
Fan fiction. Dio Cristo.
Dopo alle critiche suscitate dal contenuto sessualmente esplicito di tali racconti, mrs. Leonard decise di mutare gli epiteti dei personaggi e di riscrivere la storia dal principio, pubblicandola sul proprio sito, fin quando un provvidenziale giorno decise che cotanto talento dovesse essere condiviso col mondo in forma cartacea.
Una volta sentii un saggio indiano, di cui non rammento il nome, affermare che fosse in grado di avvertire il dolore degli alberi, ogniqualvolta toccava un pezzo di carta; quando terminai l’ultima pagina del romanzo, pensai che tanta cellulosa sacrificata invano gli avrebbe probabilmente procurato un ictus.
Ad ogni modo sì, ho letto il decantato liber, recatomi in dono qualche anno orsono, anche perchè in caso opposto non sarei stata qui a parlarne. Trovo infatti ridicolo, citando quanto ho affermato più volte sul web, giudicare un libro senza averne fatto esperienza, ragion per la quale non pregiudico mai nulla, neppure gli aborti letterari latenti, che attendo di aver letto in prima persona, prima di definire defecate a prescindere. L’unico fenomeno odierno che non sono stata in grado di leggere è Moccia; ci ho provato, ve lo assicuro, ma dopo due pagine emmezzo, appurato di non trovarmi nella sezione bambini, ho dovuto riporlo sullo scaffale e congedarlo a tempo indeterminato.
Tornando a noi, la storia è tra le più celebri e reiterate del panorama letterario: la fanciulla sfigata e impedita, che per qualche ignota ragione attizza l’Alain Delon di turno, bello da far paura e ricco da fare schifo. Nel leggere i primi capitoli, conscia del fatto che ne sarebbe presto scaturita una trasposizione cinematografica, non potei fare a meno di pensare che nessuno avrebbe potuto incarnare il signor Grey meglio di Ian Somerhalder, presto effettivamente inserito nella lista dei candidati alla parte. Sapete, non sono mai stata una grande amante degli uomini dagli occhi chiari, ma vi garantisco che qualora dovessi ritrovare un individuo del genere sulla mia soglia, con un opuscolo tra le mani, potrei seriamente pensare di unirmi a Geova.


Parimenti, ero discretamente favorevole anche all’assunzione del bel Matt Bomer per il tanto conteso ruolo (http://www.sfizioserietv.it/wp-content/uploads/2014/08/matt-bomer.jpg che dire…che dire). Nonostante molti credessero che il suo orientamento sessuale rendesse la sua interpretazione poco credibile, resto dell’opinione che il buon Bomer non si sarebbe fatto molti problemi nel vestire i panni del signor Grey, e di certo non me ne sarei fatta io nel vederlo svestire i propri.
Fatto sta che, al termine dei giochi, il posto sia spettato a Jamie Dornan, gran tocco di figo, per carità, ma a mio parere poco consono alla parte (linciatemi pure, se volete). Quanto ad Anastasia Steele, di cui a dire il vero non mi importava granchè, quest’ultima è invece andata alla giovane Dakota Johnson, della cui esistenza, onestamente, non ero neppure al corrente. Non mi esprimerò sul film, che ho visto in streaming qualche sera fa, e che spero concorderete con me nel ritenere che si commenti da solo. Solo un’osservazione, se mi è concessa, relativa a questioni meramente tecniche; una delle più celebri citazioni del libro è la fine ed alta affermazione di Grey, in cui spiega garbatamente: “Io non faccio l’amore. Io fotto…senza pietà.” (originariamente “I don’t make love. I fuck…hard”). Non è una traduzione letterale, ma ovviamente è quella più consona, che meglio esprime il senso della frase, ed è sovente a queste scelte semantiche che occorre ancorarsi per ottenere lo stesso effetto della versione originale. Mi aspettavo, dunque, le medesime parole in quella cinematografica, se non fosse che di colpo il bel Dornan se ne sia uscito con: “Io scopo…forte.”

GELO.

Ok, ok, fermi tutti.
Lo ha detto sul serio? Lui scopa…forte?
…FORTE??
Un po’ come se traducessi “if I was in your shoes, I would catch the bus earlier” con “se fossi nelle tue scarpe, catturerei l’autobus prima”. Sarò anche una grammar nazi, ma sfiderei ciascuno di voi ad apostrofare la vostra partner, invitandola a “scopare forte”, e a non concludere la vostra serata con un solitario.
Chiusa questa parentesi, passiamo ora al punto successivo: i personaggi.
Non avendo mai nutrito grande simpatia per le figure beote e smidollate, potrete immaginare quale immensa simpatia mi abbia unita, sin dalle prime pagine, a miss Steele. Cominciai con qualche perplessità sul suo quoziente intellettivo, per poi imprecare mentalmente ogni due righe contro le sue azioni prive di fondamento, fino a giungere a sperare fortemente che rimanesse secca durante uno dei giochi tanto cari al signor Grey. Quanto a quest’ultimo, in luogo della sua potenziale sottomessa, prima di farmi scartare gli attributi ventiquattr’ore al giorno, avrei suggerito al minuzioso e meticoloso mr. Controllo di gettare un’occhiata all’art. 612 bis del codice penale, recante la simpatica disciplina degli atti persecutori, per gli amici stalking.
Al di là della discutibile trama, non credo sia necessario soffermarci sullo stile narrativo, nè tantomeno sul mio sconcerto nell’apprendere che l’autrice, le cui doti di stesura avrei attribuito al massimo a una ventenne, fosse prossima ai cinquanta. 
Vorrei piuttosto far notare un dettaglio più volte evidenziato dalla comunità virtuale e perennemente ignorato dai media: QUEL RACCONTO NON HA NULLA DI SADOMASO. Un paio di sculacciate e qualche colpo di frusta non relegano un rapporto nel BDSM, che è ben altro da ciò che gli articoli di Donna moderna e Cosmopolitan amano farvi credere. A connotare un rapporto di tale natura è la consensualità e il fatto che tutti i soggetti coinvolti, dominante (dom) e sottomessa/e/i (sub) traggano piacere dalle pratiche effettuate; non è necessario convincere quest’ultima/o ad essere tale, presentandola ai propri ascendenti dopo due settimane di relazione e comprandole un mac, una macchina e un nuovo guardaroba, dopo una misera chiavata. Che poi avrei voluto vedere se la pia Anastasia si sarebbe fatta legare come un provolone Auricchio, qualora il carismatico e intrigante signor Grey fosse stato un commesso della Subway. 
Come inoltre osservato dal celebre maestro bondage Davide La Greca, “Anastasia ubbidisce per amore. Una cosa del tutto sbagliata. Faccio ciò che mi chiede il dom, mi faccio frustare, marchiare (…), ma solo per tenermelo stretto”; non è questo, invece, che anima i rapporti di tale matrice. L’unico aspetto narrato nel libro effettivamente conforme alla realtà dei fatti è il contratto tra dom e sub, con cui si stabilisce cosa si è e ciò che non si è disposti a fare, la safeword, mediante la quale è possible interrompere il gioco in qualsiasi momento, nonchè che il tutto rientri nella fondamentale formula dell’SSC (Safe, Sane, Consensual).
Nel caso in cui ve lo steste chiedendo, anch’io mi domando quale piacere si provi nell’essere volontariamente seviziati e annodati come una porchetta, ma alla fine de gustibus. D’altronde, come diceva De Sade, “se si ama il proprio dolore, esso diviene voluttà”.

Qualora qualcuno di voi fosse di parere opposto rispetto alla sottoscritta, e avesse dunque apprezzato l'opera della Leonard (per il cui successo sono assai felice a livello umano, ma di certo non professionale) e la relativa rappresentazione visiva, suggerirei il suo degno predecessore cinematografico, Killing me softly, di Chen Kaige. A dire il vero, lo consiglierei anche a tutti gli altri, dal momento che, nonostante l'intreccio tenda a stimolare la diuresi, le scene di sesso sono degne di nota, almeno quanto i nudi, ahimè solo posteriori, di Joseph Fiennes.
Vorrei concludere con un finale ad effetto, ma la verità è che il mio stomaco brontola e il mio baghali polo non si scalderà certo da solo. A tal proposito, vi inviterei a cercare su google di quale meraviglia sto parlando, nel caso in cui non doveste esserne a conoscenza. 

Buon pranzo, egregi.