giovedì 13 aprile 2017

I'm not dead


Buonsalve a tutti e, supponendo di non dover tralasciare i formalismi, bentrovati, cari lettori.

Non mi ero minimamente accorta di aver lasciato scorrere tutto questo tempo dal mio ultimo intervento; più di un anno, ora che ci penso. Col senno del poi, la cosa ha una propria ratio, che non voglio condividere pubblicamente, ma che intendo usare come spunto, per dirvi un paio di cose che forse vi faranno comprendere meglio le ragioni della mia duratura assenza.
E’ stato un anno complesso, forse tra i più grevi di cui abbia memoria, ma alla luce di ciò assai istruttivo. Distruttivo ma, conseguentemente, costruttivo. Perdonate l’allitterazione.
Sapete, non sono avvezza a congedare gli anni in procinto di volgere al termine come fanno taluni, evidenziandone i lati negativi, definendoli ogni volta “anno demmerda” e riponendo tutte le proprie speranze in quello a venire. Credo da sempre che anche, anzi, soprattutto i brutti periodi siano quelli più formativi, da cui si possa apprendere meglio; tutto sta nel nostro approccio.
Il dolore è un maestro paziente e silenzioso, che dovremmo imparare a non odiare per le dure, talvolta durissime prove cui ci sottopone, pensando piuttosto agli apprendimenti che potremmo guadagnare dal suo rigido metodo, sovente così arduo a comprendersi. 
Perciò, dopo averlo maledetto a non finire, fermiamoci un attimo a pensare a cosa potremmo apprenderne, poiché - e lo dico per esperienza - una mera attitudine positiva in un frangente tutt’altro che tale può realmente fare la differenza.

Alla luce di tutto ciò, non v’è nulla che rimpianga di quest’anno passato, così colmo di cambiamenti, a cui, dopo un marcato sconcerto iniziale, mi è gradualmente venuto sempre più spontaneo adattarmi. Sapete cosa diceva Bruce Lee, no?

Be formless, shapeless, like water. You put water into a cup, it becomes the cup. You put water into a bottle, it becomes the bottle. You put water into a teapot, it becomes the teapot. Water can flow or it can crash.
Be water, my friend.

Ora, personalmente credo di essere ben lungi dalla malleabilità assoluta di cui parlava Lee, ma posso dire di essere notevolmente soddisfatta dei miei passi in tale direzione. Non so se un’adattabilità così totale sia umanamente auspicabile in toto; quel che so è che io non ho mai desiderato essere priva di forma, seguendo la metafora impiegata dal maestro. Flessibile sì, e anche molto, ma entro qualche limite. Vi sono contenitori di cui non voglio, né ho mai voluto assumere le sembianze; tuttavia, in circostanze peculiari, credo di aver trovato dei validi compromessi in grado di mantenere la mia natura intatta. E auguro a tutti di poter trovare, in tali evenienze, la soluzione più idonea alla propria essenza.


Niente, tutto questo per dirvi che sì, sono viva e, tutto sommato, me la sto passando piuttosto bene. Immersa di lavoro e di faccende, ma decisamente bene.
La prossima volta vedrò di lasciare un po’ più spazio al sarcasmo e meno alle mie intrinseche tendenze filo-confuciane.
A presto, egregi.



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