venerdì 26 giugno 2015

Story of a never ending love


Salve, cari lettori!!!

Finalmente, dopo eoni di astinenza, causa clausura pre-tesi, conseguente decesso di vita sociale, euforia post-lauream e faccende varie, torno a scrivere, e con immensa gioia. Quando parlo di astinenza non la intendo in senso figurato, poichè impugnare penna o tastiera per ragioni extra-accademiche è per me una reale dipendenza, e starne lontana per più di un determinato periodo mi suscita un’effettiva crisi.
Molti eventi si sono susseguiti in tale lasso di tempo, molte cose sono accadute e molte ancora sono in corso di svolgimento. Sono stati mesi impegnativi, ma è finalmente col sorriso che posso affacciarmi a quelli alle porte, e accoglierli con una rinnovata e inedita consapevolezza.
Fatto questo preambolo, a mio parere doveroso, veniamo a noi.
Quello che farò oggi sarà un intervento particolarmente sentito, poichè andrà a toccare un tema a me profondamente, assai profondamente a cuore. Una della nozioni principali concernenti la sottoscritta, di cui la gente, amici e non, è primariamente a conoscenza è la mia radicata passione per una delle figure più fulgide del panorama musicale del nostro secolo: Michael Joseph Jackson. Parimenti, una delle domande che mi sono state rivolte più di frequente riguarda le ragioni alla base di tale amore, intatto ormai dalla bellezza di 23 anni. Quest’oggi, in occasione del sesto anniversario del suo congedo dalla vita, vorrei rispondere per la prima volta a tale quesito, premettendo che qualunque cosa possa narrarvi in questo minuto spazio virtuale sarà sempre, incredibilmente riduttiva.
La verità è che la figura di Michael è sempre stata presente nella mia vita, al punto che non ricordo neppure la prima volta che lo vidi, essendo la sua immagine impressa nella mia mente sin da quando ho memoria. Il ricordo più remoto che ne posseggo risale ai miei tre anni, ma so per certo non essere il primo. Ricordo i suoi lunghi capelli neri, all’epoca laccati e riccioluti, i suoi penetranti occhi scuri, i cerotti bianchi che portava alle dita, il cinturone argentato, i pantaloni e la giacca in latex che indossava sul video di Come together, così come la camicia gialla che si strappava nel corso della canzone, togliendomi già allora qualsiasi dubbio sulla mia eterosessualità (qualora non aveste mai visto il video in esame, vi consiglio fortemente di rimediare: https://www.youtube.com/watch?v=WSnORyfmHnM ).
Pur non rammentando il momento preciso del nostro primo “incontro”, so con altrettanta certezza che fu un colpo di fulmine, poichè ho sempre, da sempre, associato alla sua immagine i medesimi sentimenti che mi accompagnarono negli anni a venire. Non erano solo il suo disarmante modo di danzare, la sua singolare voce e le sue travolgenti note, pur essendo la sua arte specchio fedele del suo animo; c’era qualcosa in lui, nell’essere umano celato dietro all’artista, che mi attirava come mai fece nessun altro. Provavo un continuo senso di stupore nell’osservarlo, un misto di meraviglia e ammirazione, nonchè una curiosa familiarità di cui non comprendevo le ragioni. Era diverso, nel senso più incantevole del termine, diverso da chiunque avessi e avrei mai visto, e questo, come le persone fuori dal comune in genere, quelle che i più disprezzano e non comprendono, era per me una calamita senza pari.
Rammento nitidamente le continue delucidazioni che molti adulti amavano fornirmi: “guarda che Michael Jackson non è normale. Dorme in una camera ad ossigeno per non invecchiare” “lo sapevi che ha paura dei germi e non si fa toccare da nessuno?”; “lo sapevi che si è rifatto tutto il viso? Vuole somigliare a una donna”; “lo sapevi che è razzista? Prima era nero, poi si è fatto sbiancare”; “Michael Jackson è molto cattivo coi bambini. Guarda che è stato pure denunciato”, e via dicendo a oltranza. Pur non essendo all’epoca a conoscenza dell’effettiva realtà dei fatti, nessuna delle suddette affermazioni sembrava tangermi in alcun modo. Non v’era alcuna tra tali idiozie, spacciate per informazioni, che riuscissi ad associare a lui, neppure quella apparentemente più evidente, relativa al suo cambiamento cromatico. Ero sicura che vi fosse qualcos’altro, ragioni differenti, assai lungi dalle teorie che mi propinavano, e non mi sorpresi nell’apprendere, negli anni successivi, di non essermi minimamente sbagliata.
Ne approfitto a tal proposito per lanciarvi un’apostrofe: non prendete per oro colato tutto ciò che sentite o vedete in prima pagina; leggete, cercate, documentatevi, SEMPRE. Solo la sete di conoscenza ci consente di assurgere alla medesima, di qualunque natura essa sia. E non cessate mai di impiegare le vostre facoltà di giudizio; esse sono e saranno sempre diverse rispetto a quelle altrui, come ciascuno di noi lo è dagli altri. Dunque non assimilate passivamente la prospettiva di terzi; cercate continuamente di sviluppare la vostra. Chiusa parentesi.


Non mi interessava l’opinione altrui. Ai miei occhi, era l’uomo più incredibile che avessi mai visto. Più lo guardavo, più mi domandavo perchè gli altri non riuscissero a vederlo come lo vedevo io.
Ricordo gli attributi che facevo crescere a mia madre, nel domandarle quotidianamente di fare le trecce ai miei capelli allora a spaghetto, nell’ardente speranza di renderli simili alla chioma riccia di Michael, speranza di norma dissipatasi nel giro di un’ora, tempo che usualmente le mie precarie ciocche ‘80s impiegavano a tornare al proprio consueto piattume. Ricordo lo scialle nero che solevo arrotolarmi attorno al braccio, nel convintissimo tentativo di farlo somigliare ad un guanto del Bad tour, così come la camicia bianca e i pantaloni scuri con due strisce bianche di lato che convinsi madre ad acquistarmi, con cui giravo gasatissima per casa ogniqualvolta mi sparavo Dirty Diana o la videocassetta di Moonwalker, originariamente prestatami da mio zio, ma presto divenuta di mia proprietà per usucapione. Ricordo il fiero senso di onnipotenza che mi pervadeva nell’essere puntualmente proclamata vincitrice delle puerili gare di somiglianza che indicevo coi miei compagni d’infanzia, a cui avevo trasmesso il morbo, per il mero fatto di essere l’unico soggetto alto, magro e coi capelli lunghi e corvini. Suppongo fossi l’unica bambina al mondo che, anzichè desiderare di essere una principessa Disney, desiderava somigliare ad un uomo. Ricordo la falsissima spavalderia con cui, quella solitaria sera del ’95, mandai indietro il video di Thriller per guardarlo una seconda volta, cercando di esorcizzare il fatto di essermi cagata in mano dopo alla prima visione e finendo per peggiorare ulteriormente la situazione. Ricordo i lividi con cui mi maculavo arti e gambe, nel cercare di emularne le coreografie, al pari del senso di figaggine che mi travolse la prima volta che riuscii a fare il moonwalk e, poco dopo, il sidewalk. Ricordo le infinite volte che impallai il video registratore, a forza di stoppare e mandare indietro le immagini, con l’intento di memorizzare minuziosamente i passi di danza di ogni singolo video ed esibizione, quando anni dopo riuscii ad appropriarmi del dvd di History on film. Ricordo inoltre l’angoscia che mi pervase nel ’97, al termine del video di Ghosts, credendo che Michael fosse perito davvero; quando lo vidi sbucare fuori poco dopo, pensai a come mi sarei sentita il giorno in cui sarebbe venuto a mancare realmente. Spero di non saperlo mai, pensai quella sera.
Fu in tale periodo, mentre un giorno tessevo amorevolmente le lodi di Michael durante uno dei suoi short films, che mia madre mi folgorò con la sua stupefacente osservazione:
- Sai Shirin, in realtà io e te lo abbiamo incrociato, Michael Jackson. Due anni fa, quando eravamo in macchina cogli zii a Los Angeles. Una lunghissima limousine nera si fermò casualmente accanto a noi ad un semaforo, quando qualcuno  abbassò leggermente il finestrino dal sedile posteriore. Era lui! Tutti quanti lo salutammo come dei forsennati e poco dopo ci salutò anche lui da dietro gli occhiali da sole, prima che il semaforo diventasse verde e ripartisse. Tu purtroppo dormivi e, nonostante ti abbia chiamata più volte, non ti sei svegliata.

Per qualche secondo rischiai una sincope. Impiegai qualche istante, prima di trovare la lucidità per rispondere.

- …Mi stai prendendo in giro?
- No amore, giuro! Lo abbiamo pure seguito, sai? Abbiamo fatto il giro da fuori di tutta casa sua. Mamma mia, quanto era grande! Sembrava una città. Poi siamo tornati a casa.
- Ma non potevi tirarmi un ceffone????
- Shir, ti ho chiamata un sacco di volte! Dormivi tutta beata, non sembravi molto interessata.  

Non potevo crederci. L’uomo su cui fantasticavo ogni singolo giorno della mia breve esistenza era passato accanto a me. Michael mi era passato davanti, ed io dormivo, come una perfetta deficiente. Dormivo, nel momento più fottutamente importante della mia vita, che non avrei mai più avuto indietro. Quel giorno, dopo essermi maledetta all’infinito, cercai di vedere il lato positivo della faccenda, ossia che anche qualora lo avessi visto, non sarei stata in grado di proferire un’acca. In quel momento presi dunque un’impegno: promisi a me stessa che avrei imparato l’inglese alla perfezione, a qualsiasi costo, affinchè alla prossima occasione potessi esprimermi dinanzi a Michael nel migliore dei modi, senza problemi e senza alcuna barriera linguistica.
Contro ogni più assurda previsione, Michael morì dodici anni dopo, poche settimane prima che potessi recarmi a Londra a coronare il mio sogno, ma io mantenni la mia promessa. Ascoltavo e traducevo quotidianamente canzoni e interviste col vocabolario di fianco, guardavo video e discorsi di premiazione ad oltranza, con lo scopo di arrivare a carpirne contenuto, accenti, cadenze e battute. Durante il quadriennio del processo (2003-2006), scaricavo regolarmente articoli e documenti processuali puntualmente indisponibili in lingua italiana, passando interi pomeriggi a tentare di tradurli parola per parola, senza alcun ausilio esterno, non avendo quasi mai disposto di docenti particolarmente competenti in materia. Nel giro di alcuni anni, giunsi a comprendere appieno, senza alcuna consultazione, il 90% di ciò che mi accingevo a leggere o ascoltare. Ho sostanzialmente imparato, grazie a Michael, un’intera lingua in completa autonomia, ed è esclusivamente a questo che devo la mia partecipazione ai vari progetti che hanno colmato questo mio ultimo anno accademico.


Nel corso della mia prima adolescenza accantonai la mia passione temporaneamente, per poi riappropriarmene durante i miei 13 anni, stavolta a tempo indeterminato. Se da bambina era del suo lato “surreale” che mi ero invaghita, dell’entertainer sorprendente e abbacinante, della figura brillante e singolare, poi fu dei suoi caratteri tipicamente umani, quelli che cominciai gradualmente a conoscere, che mi innamorai. Scoprii un uomo timido e insicuro, ma al contempo un lavoratore zelante e lungimirante, un uomo profondamente intelligente, eppure incredibilmente ingenuo. Scoprii un uomo segnato dai propri traumi e trafitto dalla perfidia altrui, eppure colmo di speranza e filantropia. Un uomo circondato di persone, eppure incredibilmente solo. Scoprii la sua abbagliante forza di volontà, la regale dignità con cui tollerava a testa alta le sferzate più subdole e meschine. Scoprii il coraggio con cui affrontava i dolori più lancinanti, e parimenti la sua fragilità e le sue profonde cicatrici. Scoprii la sua disarmante umiltà, il suo pacato garbo e il rispetto che dispensava a chiunque e qualunque cosa lo circondasse. Scoprii il mesto bambino che si poteva ancora scorgere dietro all’adulto incompleto, che ahimè molti non vedevano, nonchè i suoi disperati tentativi di tutelarlo. Scoprii un uomo la cui ricchezza d’animo superava inestimabilmente quella terrena, di cui non concepiva l’utilità, se non condividendola con chi ne avesse necessità. Scoprii la sua pura spontaneità, il suo sentito senso di gratitudine, il suo umorismo e la sua incessante curiosità. Scoprii la lodevole perseveranza e l’ardore con cui inseguiva i propri sogni, insegnandomi inconsapevolmente a fare altrettanto. Ma più di ogni altra cosa, scoprii la sua incantenvole sensibilità, quella che mai ebbe timore di mostrare al mondo, quella che io per anni avevo tenuto nascosta, non avendo nessuno con cui condividerla. Michael fu il primo. Il primo individuo sulla faccia della Terra a non farmi sentire sola, pur nella concreta lontananza.
A lui devo più di quanto avrei mai potuto immaginare; senza ombra di dubbio, buona parte di ciò che so e di ciò che sono oggi.
Non v’è  termine umano che sappia mai esprimere ciò che quest’uomo è ed è stato per me, nonchè quanto inconcepibilmente abbia cambiato la mia vita. Tuttavia ti prometto, mio dolce, dolcissimo Michael, così come diciassette anni fa feci quella promessa a me medesima, che un giorno troverò il modo di pagare il mio debito. Un dì, assai meno lontano di quanto possa sembrare, giuro che renderò allo straordinario essere umano che sei stato un omaggio degno di tale nome, imperituro come il dono che tu hai fatto a me.

“I’ll never let you part. For you’re always in my heart”.
I love you, I'll always do.

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