Salve, cari lettori!!!
Finalmente, dopo eoni di astinenza, causa clausura pre-tesi, conseguente
decesso di vita sociale, euforia post-lauream e faccende varie, torno a
scrivere, e con immensa gioia. Quando parlo di astinenza non la intendo in
senso figurato, poichè impugnare penna o tastiera per ragioni extra-accademiche
è per me una reale dipendenza, e starne lontana per più di un determinato
periodo mi suscita un’effettiva crisi.
Molti eventi si sono susseguiti in tale lasso di tempo, molte cose sono
accadute e molte ancora sono in corso di svolgimento. Sono stati mesi
impegnativi, ma è finalmente col sorriso che posso affacciarmi a quelli alle
porte, e accoglierli con una rinnovata e inedita consapevolezza.
Fatto questo preambolo, a mio parere doveroso, veniamo a noi.
Quello che farò oggi sarà un intervento particolarmente sentito, poichè
andrà a toccare un tema a me profondamente, assai profondamente a cuore. Una della nozioni principali concernenti la sottoscritta, di cui la
gente, amici e non, è primariamente a conoscenza è la mia radicata passione per
una delle figure più fulgide del panorama musicale del nostro secolo: Michael
Joseph Jackson. Parimenti, una delle domande che mi sono state rivolte più di
frequente riguarda le ragioni alla base di tale amore, intatto ormai dalla
bellezza di 23 anni. Quest’oggi, in occasione del sesto anniversario del suo
congedo dalla vita, vorrei rispondere per la prima volta a tale quesito,
premettendo che qualunque cosa possa narrarvi in questo minuto spazio virtuale
sarà sempre, incredibilmente riduttiva.
La verità è che la figura di Michael è sempre stata presente nella mia
vita, al punto che non ricordo neppure la prima volta che lo vidi, essendo la
sua immagine impressa nella mia mente sin da quando ho memoria. Il ricordo più
remoto che ne posseggo risale ai miei tre anni, ma so per certo non essere il
primo. Ricordo i suoi lunghi capelli neri, all’epoca laccati e riccioluti, i
suoi penetranti occhi scuri, i cerotti bianchi che portava alle dita, il
cinturone argentato, i pantaloni e la giacca in latex che indossava sul video
di Come together, così come la
camicia gialla che si strappava nel corso della canzone, togliendomi già allora
qualsiasi dubbio sulla mia eterosessualità (qualora non aveste mai visto il
video in esame, vi consiglio fortemente di rimediare: https://www.youtube.com/watch?v=WSnORyfmHnM ).
Pur non rammentando il momento preciso del nostro primo “incontro”, so
con altrettanta certezza che fu un colpo di fulmine, poichè ho sempre, da
sempre, associato alla sua immagine i medesimi sentimenti che mi accompagnarono
negli anni a venire. Non erano solo il suo disarmante modo di danzare, la sua singolare
voce e le sue travolgenti note, pur essendo la sua arte specchio fedele del suo
animo; c’era qualcosa in lui, nell’essere umano celato dietro all’artista, che
mi attirava come mai fece nessun altro. Provavo un continuo senso di stupore nell’osservarlo, un misto di meraviglia
e ammirazione, nonchè una curiosa familiarità di cui non comprendevo le
ragioni. Era diverso, nel senso più incantevole del termine, diverso da
chiunque avessi e avrei mai visto, e questo, come le persone fuori dal comune
in genere, quelle che i più disprezzano e non comprendono, era per me una
calamita senza pari.
Rammento nitidamente le continue delucidazioni che molti adulti amavano
fornirmi: “guarda che Michael Jackson non è normale. Dorme in una camera ad
ossigeno per non invecchiare” “lo sapevi che ha paura dei germi e non si fa
toccare da nessuno?”; “lo sapevi che si è rifatto tutto il viso? Vuole
somigliare a una donna”; “lo sapevi che è razzista? Prima era nero, poi si è
fatto sbiancare”; “Michael Jackson è molto cattivo coi bambini. Guarda che è
stato pure denunciato”, e via dicendo a oltranza. Pur non essendo all’epoca a
conoscenza dell’effettiva realtà dei fatti, nessuna delle suddette affermazioni
sembrava tangermi in alcun modo. Non v’era alcuna tra tali idiozie, spacciate
per informazioni, che riuscissi ad associare a lui, neppure quella apparentemente
più evidente, relativa al suo cambiamento cromatico. Ero sicura che vi fosse
qualcos’altro, ragioni differenti, assai lungi dalle teorie che mi propinavano,
e non mi sorpresi nell’apprendere, negli anni successivi, di non essermi
minimamente sbagliata.
Ne approfitto a tal proposito per lanciarvi un’apostrofe: non prendete per oro colato tutto ciò che
sentite o vedete in prima pagina; leggete, cercate, documentatevi, SEMPRE.
Solo la sete di conoscenza ci consente di assurgere alla medesima, di qualunque
natura essa sia. E non cessate mai di impiegare le vostre facoltà di giudizio;
esse sono e saranno sempre diverse rispetto a quelle altrui, come ciascuno di
noi lo è dagli altri. Dunque non assimilate passivamente la prospettiva di
terzi; cercate continuamente di sviluppare la vostra. Chiusa parentesi.
Non mi interessava l’opinione altrui. Ai miei occhi, era l’uomo più
incredibile che avessi mai visto. Più lo guardavo, più mi domandavo perchè gli
altri non riuscissero a vederlo come lo vedevo io.
Ricordo gli attributi che facevo crescere a mia madre, nel domandarle
quotidianamente di fare le trecce ai miei capelli allora a spaghetto,
nell’ardente speranza di renderli simili alla chioma riccia di Michael,
speranza di norma dissipatasi nel giro di un’ora, tempo che usualmente le mie precarie
ciocche ‘80s impiegavano a tornare al proprio consueto piattume. Ricordo lo
scialle nero che solevo arrotolarmi attorno al braccio, nel convintissimo
tentativo di farlo somigliare ad un guanto del Bad tour, così come la camicia
bianca e i pantaloni scuri con due strisce bianche di lato che convinsi madre
ad acquistarmi, con cui giravo gasatissima per casa ogniqualvolta mi sparavo Dirty Diana o la videocassetta di Moonwalker, originariamente prestatami
da mio zio, ma presto divenuta di mia proprietà per usucapione. Ricordo il
fiero senso di onnipotenza che mi pervadeva nell’essere puntualmente proclamata
vincitrice delle puerili gare di somiglianza che indicevo coi miei compagni
d’infanzia, a cui avevo trasmesso il morbo, per il mero fatto di essere l’unico
soggetto alto, magro e coi capelli lunghi e corvini. Suppongo fossi l’unica
bambina al mondo che, anzichè desiderare di essere una principessa Disney,
desiderava somigliare ad un uomo. Ricordo la falsissima spavalderia con cui,
quella solitaria sera del ’95, mandai indietro il video di Thriller per guardarlo una seconda volta, cercando di esorcizzare il
fatto di essermi cagata in mano dopo alla prima visione e finendo per
peggiorare ulteriormente la situazione. Ricordo i lividi con cui mi maculavo
arti e gambe, nel cercare di emularne le coreografie, al pari del senso di
figaggine che mi travolse la prima volta che riuscii a fare il moonwalk e, poco
dopo, il sidewalk. Ricordo le infinite volte che impallai il video
registratore, a forza di stoppare e mandare indietro le immagini, con l’intento
di memorizzare minuziosamente i passi di danza di ogni singolo video ed
esibizione, quando anni dopo riuscii ad appropriarmi del dvd di History on film. Ricordo inoltre l’angoscia
che mi pervase nel ’97, al termine del video di Ghosts, credendo che Michael fosse perito davvero; quando lo vidi
sbucare fuori poco dopo, pensai a come mi sarei sentita il giorno in cui
sarebbe venuto a mancare realmente. Spero di non saperlo mai, pensai quella
sera.
Fu in tale periodo, mentre un giorno tessevo amorevolmente le lodi di
Michael durante uno dei suoi short films, che mia madre mi folgorò con la sua
stupefacente osservazione:
- Sai Shirin, in realtà
io e te lo abbiamo incrociato, Michael Jackson. Due anni fa, quando eravamo in
macchina cogli zii a Los Angeles. Una lunghissima limousine nera si fermò
casualmente accanto a noi ad un semaforo, quando qualcuno abbassò leggermente il finestrino dal
sedile posteriore. Era lui! Tutti quanti lo salutammo come dei forsennati e
poco dopo ci salutò anche lui da dietro gli occhiali da sole, prima che il
semaforo diventasse verde e ripartisse. Tu purtroppo dormivi e, nonostante ti
abbia chiamata più volte, non ti sei svegliata.
Per qualche secondo rischiai una sincope. Impiegai qualche istante,
prima di trovare la lucidità per rispondere.
- …Mi stai prendendo in giro?
- No amore, giuro! Lo abbiamo pure seguito, sai? Abbiamo fatto il giro
da fuori di tutta casa sua. Mamma mia, quanto era grande! Sembrava una città.
Poi siamo tornati a casa.
- Ma non potevi tirarmi un ceffone????
- Shir, ti ho chiamata un sacco di volte! Dormivi tutta beata, non
sembravi molto interessata.
Non potevo crederci. L’uomo su cui fantasticavo ogni singolo giorno della
mia breve esistenza era passato accanto a me. Michael mi era passato davanti,
ed io dormivo, come una perfetta deficiente. Dormivo, nel momento più
fottutamente importante della mia vita, che non avrei mai più avuto indietro.
Quel giorno, dopo essermi maledetta all’infinito, cercai di vedere il lato
positivo della faccenda, ossia che anche qualora lo avessi visto, non sarei
stata in grado di proferire un’acca. In quel momento presi dunque un’impegno:
promisi a me stessa che avrei imparato l’inglese alla perfezione, a qualsiasi
costo, affinchè alla prossima occasione potessi esprimermi dinanzi a Michael
nel migliore dei modi, senza problemi e senza alcuna barriera linguistica.
Contro ogni più assurda previsione, Michael morì dodici anni dopo, poche
settimane prima che potessi recarmi a Londra a coronare il mio sogno, ma io
mantenni la mia promessa. Ascoltavo e traducevo quotidianamente canzoni e interviste
col vocabolario di fianco, guardavo video e discorsi di premiazione ad
oltranza, con lo scopo di arrivare a carpirne contenuto, accenti, cadenze e
battute. Durante il quadriennio del processo (2003-2006), scaricavo
regolarmente articoli e documenti processuali puntualmente indisponibili in
lingua italiana, passando interi pomeriggi a tentare di tradurli parola per
parola, senza alcun ausilio esterno, non avendo quasi mai disposto di docenti
particolarmente competenti in materia. Nel giro di alcuni anni, giunsi a
comprendere appieno, senza alcuna consultazione, il 90% di ciò che mi accingevo
a leggere o ascoltare. Ho sostanzialmente imparato, grazie a Michael, un’intera
lingua in completa autonomia, ed è esclusivamente a questo che devo la mia
partecipazione ai vari progetti che hanno colmato questo mio ultimo anno
accademico.
Nel corso della mia prima adolescenza accantonai la mia passione temporaneamente,
per poi riappropriarmene durante i miei 13 anni, stavolta a tempo
indeterminato. Se da bambina era del suo lato “surreale” che mi ero invaghita, dell’entertainer
sorprendente e abbacinante, della figura brillante e singolare, poi fu dei suoi
caratteri tipicamente umani, quelli che cominciai gradualmente a conoscere, che
mi innamorai. Scoprii un uomo timido e insicuro, ma al contempo un lavoratore
zelante e lungimirante, un uomo profondamente intelligente, eppure
incredibilmente ingenuo. Scoprii un uomo segnato dai propri traumi e trafitto
dalla perfidia altrui, eppure colmo di speranza e filantropia. Un uomo
circondato di persone, eppure incredibilmente solo. Scoprii la sua abbagliante
forza di volontà, la regale dignità con cui tollerava a testa alta le sferzate
più subdole e meschine. Scoprii il coraggio con cui affrontava i dolori più
lancinanti, e parimenti la sua fragilità e le sue profonde cicatrici. Scoprii la
sua disarmante umiltà, il suo pacato garbo e il rispetto che dispensava a chiunque
e qualunque cosa lo circondasse. Scoprii il mesto bambino che si poteva ancora
scorgere dietro all’adulto incompleto, che ahimè molti non vedevano, nonchè i
suoi disperati tentativi di tutelarlo. Scoprii un uomo la cui ricchezza d’animo
superava inestimabilmente quella terrena, di cui non concepiva l’utilità, se
non condividendola con chi ne avesse necessità. Scoprii la sua pura
spontaneità, il suo sentito senso di gratitudine, il suo umorismo e la sua
incessante curiosità. Scoprii la lodevole perseveranza e l’ardore con cui
inseguiva i propri sogni, insegnandomi inconsapevolmente a fare altrettanto. Ma
più di ogni altra cosa, scoprii la sua incantenvole sensibilità, quella che mai
ebbe timore di mostrare al mondo, quella che io per anni avevo tenuto nascosta,
non avendo nessuno con cui condividerla. Michael fu il primo. Il primo
individuo sulla faccia della Terra a non farmi sentire sola, pur nella concreta
lontananza.
A lui devo più di quanto avrei mai potuto immaginare; senza ombra di
dubbio, buona parte di ciò che so e di ciò che sono oggi.
Non v’è termine umano che
sappia mai esprimere ciò che quest’uomo è ed è stato per me, nonchè quanto inconcepibilmente
abbia cambiato la mia vita. Tuttavia ti prometto, mio dolce, dolcissimo
Michael, così come diciassette anni fa feci quella promessa a me medesima, che
un giorno troverò il modo di pagare il mio debito. Un dì, assai meno lontano di
quanto possa sembrare, giuro che renderò allo straordinario essere umano che
sei stato un omaggio degno di tale nome, imperituro come il dono che tu hai
fatto a me.
“I’ll never let you part. For you’re always in my heart”.
I love you, I'll always do.